Perché “né Santi né Eroi”

Da tempo pensavo di avere uno spazio mio in cui poter scrivere, cavolate e cose serie. Per mie remore, tempo o voglia ho sempre rimandato. Ora ci sono.
Dovevo quindi scegliere un titolo per questo blog, o quel che sarà.

Una domenica mattina presi la macchina ed andai a Peccioli a vedere la mostra di Zerocalcare. Per me, mostra di Zerocalcare significa un qualcosa da andarci a scatola chiusa, senza farsi tante domande. Nel cercare il numero di telefono per informarmi se fosse necessaria la prenotazione, perché in tempi di Covid non si sa mai, scoprii il titolo della mostra: “Senza santi, senza eroi”.

Ecco il titolo del mio blog! Sì, modificato un po’, in un modo che fa pensare più a Vasco, che parla di “generazione di sconvolti che non ha né santi né eroi”. O a “L’Isola che non c’è”. Ma mi piace di più l’interpretazione di Zerocalcare, che ci racconta la storia dell’oggi, dove santi ed eroi non ci sono, mentre c’è chi eroicamente deve andare avanti, lottare, superare gli ostacoli.

La mia generazione, quelle prima della mia, e le prossime, non possono avere né santi né eroi. Insicurezze e prospettive incerte, un mondo che si sta sciogliendo nel vero senso della parola, in cui domina il razzismo, la paura del diverso, l’individualismo, il doversi mettere in mostra. Non possiamo sperare in santi ed eroi. Per tantissimi (!) versi siamo generazioni privilegiate rispetto alle precedenti. Abbiamo molti più svaghi e servizi. Possiamo essere molto più informati, e sappiamo essere molto più impazienti: prima per alzare il volume alla tv, dove c’erano tre canali, ci si doveva alzare; ora ci spazientiamo se una pagina internet ci mette tre secondi in più a caricarsi. Ma senza voler fare i nostalgici, ci mancano alcune cose del “prima”. Una di queste sono i riferimenti.
Ma penso anche che non ci sia bisogno di santi ed eroi. I santi e gli eroi appartengono alla mitologia, o alle credenze, a cui ognuno ha diritto di credere. Ma la vita reale, quotidiana, è un’altra cosa. È giusto credere e lottare per un mondo migliore, ma sempre per rimanere in tema musicale, qui Lucio Dalla, l’impresa eccezionale è essere normale.

Persone da stimare, da seguire. Queste sì, e lo dice uno che si innamora spesso, metaforicamente, di sportivi, artisti, giornalisti o chi per loro. Avere miti va bene, anche se pure loro fanno parte della mitologia. Perché puoi ammirarli, fare il tifo per loro. Ma finisce qui. Non è che poi si fa affidamento su di loro perché ci salvino.

C’è una bellissima canzone di Caparezza, “Eroe”, appunto, dove si parla di Luigi Delle Bicocche che sotto il sole fa il muratore e si spacca le nocche, che è un eroe perché difende i suoi cari dalle mani dei sicari e dei cravattari. Giusto chiamarlo eroe, in una canzone. Non mi addentro neanche nel tema degli operatori sanitari di cui ci siamo accorti particolarmente in questo periodo, definiti spesso “eroi”. Ma credo che anche loro preferirebbero e meriterebbero maggiori tutele e considerazioni rispetto all’essere chiamati eroi.

Tante volte basterebbe la normalità, più che essere eroi. Ogni tanto fermarsi a riflettere. Chiedere scusa prima che sia troppo tardi. Cambiare atteggiamenti. Perdonare se si può. Amare le proprie passioni, e amare le persone che si amano, dimostrandolo. Apprezzare ciò che si ha e ciò a cui teniamo. Non odiare. Tutto questo non ci rende eroi, ma ci fa essere normali. Umani. E spesso basterebbe e avanzerebbe.

“Tutti col numero 10 sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori”, dice Cremonini.

Qui vado sul personale: talvolta ho avuto dei comportamenti tutt’altro che da eroe, pagandone le conseguenze. Spero che scrivendo possa tornare a sentirmi una persona un po’ più normale.

Un blog semi-serio

In questo spazio verrà pubblicato ciò che mi passa per la testa, quindi spesso roba inutile o ironica. Vorrei parlare un po’ di tutto, perché, fortunatamente, nella mia testa non ci sono solo sport e politica. Spero che oltre a me ci siano altre persone che ogni tanto interverranno.
È un esperimento, magari mi stanco alla svelta, o magari non lo leggo neanche io. Non che sappia particolarmente scrivere, ma mi è utile buttare giù riflessioni e impegnarmi in questa cosa, poi se qualcuno leggerà, meglio. Cercheranno di esserci pochi “secondo me” (anche se qualcuno è inevitabile, essendo un blog personale), perché come dice Brunori Sas, “secondo me, secondo me, io vedo il mondo solo secondo me, chissà com’è, invece il mondo visto da te”.
Cercare di capire le cose, più che “secondo me”.

Il pensiero di fondo sarebbe anche quello di raccontare qualche storia di persone, luoghi e situazioni che non hanno né santi né eroi, né angeli in cielo. Storie di esclusione ed emarginazione, senza la pretesa di scoprire niente di nuovo, ma col solo scopo di aiutarmi a riflettere meglio, sperando di convincere anche altri a farlo.

Ultimo ma per niente ultimo, grazie ancora a Elena Valeri per il logo. E non solo.