Prima il caffè
In un’era in cui tutti hanno qualcosa o qualcuno da mettere “prima”, io ci metto il caffè. Amo svegliarmi presto, ascoltare un podcast e qualche canzone, leggere qualcosa. Ma prima il caffè. Moka da due, tutta per me.
E allora ancora mezzo o tre quarti rincoglionito, ho preparato la macchinetta e ho acceso il fornello. Sibilo del gas e del fuoco, primi rumori rassicuranti della giornata, perché porteranno al caffè. Simbolo della Nostra Patria, quell’amico che ci tiene svegli, che ci fa stare più allegri e che qualche volta ci evita i dispiaceri. “Prendiamoci un caffè”, frase iniziale di chissà quante relazioni amorose, rapporti di lavoro, richieste di voto. Ma anche “con quello non ci prenderei neanche un caffè”, massimo rifiuto verso una persona.
Intanto vado a fare un paio di cose, passa poco tempo e assaporo nell’aria quell’insolito odore di tostatura. Ah, che goduria. Mi metto a sedere al tavolo, spalle ai fornelli, passa un insolito tempo, l’aria tostata attorno a me si fa più forte. Ah, che atmosfera paradisiaca del tipo che s’era io, San Pietro, Bonolis e Laurenti, e a me, questo, me piace. Il tostato diventa bruciato, l’insolito tempo diventa lunga attesa. L’aumento dell’odore di bruciato mi fa scattare un campanello d’allarme: “strano, non è neanche una variante brasiliana di caffè”.
Quel suono a metà tra un soffio e un fischio emesso dalla macchinetta mi fa scendere dal paradiso.
Non avevo messo l’acqua, macchinetta quasi da buttare.
Buongiorno